Report dalla Biennale della Prossimità
“I mica-matti odiano i matti, li chiudono nel mezzomondo e qui non ci vogliono mettere piede, neanche nei giorni di visita perché, sotto sotto, hanno paura che non li facciano uscire mai più. Tutti quelli che danno fastidio nel mondo di fuori li portano qua, perché sono brutti, perché sono cattivi e perché sono poveri. I ricchi non sono mai pazzi, e se sono pazzi li mettono in clinica, in mezzo alle loro comodità. […]
È più comodo tenere tutti i difettosi in un unico posto nascosto, così nessuno li vede e non esistono più. Come dice quella pubblicità: Viavà, e la macchia se ne va.”
“Era stato un esperimento riuscito, perché, se messi in condizione di fare cose normali, i pazzi si comportano da sani. E i sani, in condizioni disumane, impazziscono. Questo volevo dimostrare, e non per bontà, ma per scommessa, per ostinazione, per uno strano senso di giustizia che diventava poi una guerra personale, tra me e lo Stato italiano…”
tratti da “Grande meraviglia” di Viola Ardone, Einaudi, 2023
Si è conclusa con la lettura di alcuni brani tratti da “Grande Meraviglia”, l’ultimo romanzo di Viola Ardone, la quarta Biennale della Prossimità svoltasi a Napoli dal 3 al 5 ottobre.
L’opera è ispirata chiaramente alla vicenda di Franco Basaglia, abbattitore di muri, promotore di diritti, costruttore di una società inclusiva e solidale, capace di essere l’alba di qualcosa che sarà, osando l’impossibile.
Un po’ come la realizzazione di Housing First nel nostro paese: sembrava impossibile ma quest’anno ne celebriamo i 10 anni di pratica attiva e vitale nel nostro paese.
Sam Tsemberis, considerato l’ideatore del modello, nella prefazione a “Scenari e pratiche dell’Housing First – Una nuova via dell’accoglienza per la grave emarginazione adulta in Italia” per enfatizzare il legame con quella straordinaria stagione scrive: L’Italia, dopotutto, è la casa di Franco Basaglia che ha introdotto programmi di inclusione sociale per le persone con malattie mentali. Non è dunque l’Italia che sta importando l’Housing First, ma è l’Housing First che sta tornando a casa.
Oggi luoghi affini ai manicomi esistono ancora, forse non sorvegliano e puniscono come descriveva Foucault, ma continuano ad isolare, estraniare ed escludere persone fragili e vulnerabili, siano anziani, migranti, persone con disabilità, solitudini o le diverse forme di povertà. Praticare la prossimità, o meglio tessere prossimità, intesa come azione generata da persone, gruppi informali, organizzazioni unite intenzionalmente per rispondere in modo concreto e condiviso ad un desiderio espresso da un contesto territoriale, attivando reciprocità, cura e beni relazionali, diventa allora un atto politico che può oggi abbattere i nuovi muri.
In diversi panel la questione politica ricorreva ed è emersa più volte nel corso dei tre giorni di dibattito.
L’intuizione, con una sintesi necessariamente limitante e parziale, è che tessere prossimità significa essere portatori di una visione politica dell’economia e della società, basata sul ripensamento dei diritti, sulla centralità dell’inclusione sociale, del sistema di welfare, sulla lotta alle disuguaglianze. Significa confrontarsi con le istituzioni e all’interno del terzo settore, portando modelli innovativi e generativi capaci di una nuova visione della società, dell’economia e dell’uomo. Tessere prossimità, costruire relazioni di cura e reciprocità, promuovere una società ed un’economia più inclusiva e solidale, implica, inoltre, la necessità di sconfinare dai propri ambiti di appartenenza, sporcandosi le mani, consapevoli che ambiente, economia e sociale sono tre sistemi altamente connessi tra loro.
Alla fio.PSD è stato chiesto un contributo, proposto da Giuseppe Dardes, coordinatore HFI – la community italiana dell’Housing First, all’interno del panel dal titolo “La città tra inclusione ed esclusione”
Nel confronto è stato possibile esplorare il tema della perdita progressiva della capacità di convivenza e tolleranza fra cittadini, con l’effetto di escludere intere fasce di popolazione dagli spazi comuni, privandoli non solo del diritto di abitare ma spesso di molti servizi e garanzie dei propri diritti.
È stata quindi sottolineata l’importanza del contrasto alla grave emarginazione adulta come parte di un più ampio, e ormai indispensabile, lavoro di comunità ed è stata evidenziata la connessione tra la logica della prossimità e quella dell’Housing First come modello dalla marcata vocazione comunitaria e quindi orientata alla convivenza, all’allestimento di una scena sociale nuova. Quella costruita con una visione che pone al centro non l’autonomia bensì la partecipazione, di modo che l’obiettivo non sia quello di far cessare i deboli di essere deboli per poter stare in scena con i forti, ma di modificare le regole della scena, cosicché in essa vi siano deboli e forti in scambio permanente di competenze e interessi. (cit. Benedetto Saraceno, La fine dell’intrattenimento. Manuale di riabilitazione psichiatrica, Milano, ETAS, 1995).
Il bilancio complessivo è più che positivo per la ricchezza di esperienze condivise, la qualità dello scambio, il fitto networking che si sviluppa dentro e fuori i molteplici panel.
Si evidenziano tre sfide che vale la pena custodire e rilanciare:
- approfondire l’interconnessione tra crisi climatica, sociale ed economica per produrre elaborazioni appropriate rispetto al tema della grave emarginazione adulta e posizionarlo nella nuova riflessione politica
- incrementare pratiche e condivisione di modelli che riconoscono la piena soggettività di chi ha vissuto esperienze di homelessness, superando progressivamente interventi e modelli che relegano le persone a oggetti delle narrazioni ideate da altri
- assumere una logica che guarda con fiducia al futuro, nonostante il periodo straordinariamente complesso e doloroso, consapevoli di star lavorando all’alba di un sistema sociale migliore e non arroccandosi nella difesa crepuscolare di riserve da difendere dal mondo esterne con la narrazione un po’ ambigua e forse rischiosa delle “buone pratiche”