Ogni anno arriva l’inverno e ogni anno qualche persona senza dimora muore per il freddo e ogni anno qualcuno scrive che ogni anno arriva l’inverno e qualcuno muore per il freddo.
Facendo una ricerca su un qualunque motore di ricerca si rimane scandalizzati dalla sequela di articoli che ogni inverno ragionano sulle morti durante l’emergenza freddo che emergenza non è. Anzi.
Perché la vera emergenza non è il freddo, ma il disinteresse sociale durante la primavera, l’estate e l’autunno. Quella cecità sociale che ci colpisce verso la fine di marzo e i primi di aprile.
A Milano, pochi giorni fa, è morto Massimiliano. In rete si leggono cose che svelano molto della situazione, del tipo che di lui si sapeva poco o che risulta che abbia più volte rifiutato l’ospitalità offerta (fonte: Redattore Sociale).
Partiamo dalla seconda affermazione: Massimiliano ha rifiutato l’accoglienza. Cosa ci dice questo dato? Che è colpa sua se è morto o che si è lasciato morire. Quella frase sottolinea la sua responsabilità sulla sua morte.
La prima affermazione ci dice invece, banalmente, che nessuno aveva instaurato una relazione di fiducia con questa persona che, quindi, viveva in una condizione di completa solitudine.
Non sappiamo cosa l’avesse portato in strada, che dolori avesse, se conosceva la situazione dei dormitori e dei posti letti approntati per le emergenze invernali. Non sappiamo quali fossero le sue paure, ma nemmeno i suoi sogni, i suoi desideri.
Una cosa la sappiamo e cioè che ha rifiutato l’ospitalità. Ma quella dell’emergenza freddo può definirsi tale? Ben vengano le azioni di intervento nei momenti di bisogno, ma l’ospitalità è un valore dal sapore costante che ricerca nella reciprocità il suo fondamento. L’ospitalità è una dimensione quotidiana di una comunità, non la finestra invernale durante la quale le temperature scendono sotto lo zero.
Ormai le forme di “accoglienza” come le varie emergenze freddo hanno fatto il loro tempo, non hanno creato alcun valore né dentro la “comunità” delle persone senza dimora, né dentro i cuori di chi una casa la possiede. Proprio recuperando il termine “ospitalità” emerge chiara l’esigenza di una strategia da attivare nei mesi caldi, strategia che può diventare, sul lungo periodo, un valore.
All’ospite che si accoglie non è chiesto nulla, perché nel suo disagio si legge il dovere di tutelare la vita umana, e nella persona accolta si fa spazio la riconoscenza per l’opportunità di poter affermare la propria dignità. Ed è per questo motivo che l’accolto ritrovando se stesso, contribuisce alla costruzione di una società migliore.
A chi propone di intervenire attraverso la legge o i trattamenti sanitari obbligatori per imporre l’accoglienza in questi casi estremi, rispondiamo proponendo anche un TBO per tutte le amministrazioni: un trattamento di buon senso obbligatorio, affinché si adoperino a dare linfa vitale a quei progetti che stanno riconoscendo nella promozione dell’individuo in situazione di marginalità la loro efficacia: co-housing, social housing e housing first stanno dimostrando che lavorando in modo costante e diffuso si riesce a garantire alle persone il proprio spazio all’interno del tessuto sociale, inteso come risorsa, ricchezza e bellezza e non come problema invernale… perché obbligare una persona ad essere accolta è una briciola finalizzata a non farla morire, ma, di certo, non a farla vivere.