Come fa a #stareacasa chi non ha una casa?
In Italia ci sono più di 50mila persone senza dimora: per loro e per chi offre loro assistenza le restrizioni di questi giorni sono particolarmente problematiche
Milano, Italia (ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)
Le restrizioni agli spostamenti sono un problema per tutti, per alcuni molto più grave che per altri, in particolare per chi ha situazioni di disagio a casa, per esempio le donne vittime di violenza domestica. Ma mentre il mantra che ci ripetiamo è “stare a casa”, l’epidemia da coronavirus (SARS-CoV-2) e le misure per contenerla sono un grave problema anche per chi non ha una casa, e per cui i servizi di assistenza si sono ridotti proprio a causa delle restrizioni e delle regole per mantenere le distanze.
Molti volontari che lavorano nelle strutture che offrono assistenza alle persone senza dimora, per esempio, hanno dovuto interrompere il proprio lavoro perché per ragioni di età e salute corrono più rischi a uscire di casa. Per questo motivo alcune strutture gestite da suore anziane sono state chiuse, racconta Repubblica. Per limitare l’affollamento nei dormitori poi si è dovuto lasciare più spazio tra i letti, riducendo ancora il numero di posti disponibili. E dato che per garantire una maggiore igiene nelle strutture con le docce – se sono ancora aperte: a Milano quelle comunali gratuite non lo sono – si impiega più tempo per le pulizie, i turni sono più distanziati e l’attesa è maggiore.
In Italia vivono più di 50mila persone senza dimora, secondo i più recenti dati dell’ISTAT, di cui il 24 per cento a Milano e il 15 per cento a Roma. Sono autorità locali e organizzazioni indipendenti, dalla Croce Rossa e dalla Caritas alle più piccole associazioni di volontariato, a occuparsi dei servizi a loro dedicati. Il 12 marzo, durante la quotidiana conferenza stampa della Protezione Civile, il capo del dipartimento Angelo Borrelli aveva chiesto alle amministrazioni locali di «organizzare a livello territoriale» le strutture per dare «un’adeguata assistenza».
Proprio per via della gestione territoriale dell’assistenza, oltre che per le differenze locali dovute al numero di persone senza casa presenti nei diversi comuni, non è semplice farsi un’idea generale di come sia la vita delle persone senza dimora in questi giorni. I giornali italiani però hanno dedicato molto spazio alla questione, raccontando i problemi comuni a varie città e le soluzioni trovate da alcune organizzazioni.
Nelle mense ancora aperte – alcune, come quella della Caritas in via Marsala a Roma, sono state chiuse per precauzione – si fanno turni perché le persone possano mangiare distanziate, ma questo ha aumentato la quantità di lavoro a carico degli operatori rimasti. In molti dormitori è stato esteso l’orario di apertura perché anche durante il giorno gli ospiti non debbano stare per strada, per esempio a Roma si è passati da 15 ore di apertura a 24: è una misura utile e importante, ma ha aumentato il lavoro.
Un altro grosso problema è il fatto che gran parte delle persone senza dimora non ha un indirizzo di residenza (fanno eccezione le persone nei comuni che hanno istituito le cosiddette “vie fittizie” vi hanno preso residenza) e dunque non ha nemmeno un medico di famiglia a cui rivolgersi nel caso abbia la febbre o altri sintomi riconducibili all’infezione da coronavirus.
Il Fatto ha raccontato un esempio di come le strutture che ospitano le persone senza dimora si stiano adattando alla situazione anche per gli aspetti sanitari: alla Casa Jannacci di Milano, una delle strutture più grandi della città, viene misurata la temperatura con un termometro frontale a tutti quelli che entrano. Chi ha la febbre viene curato nell’ambulatorio della struttura, dove ci sono un medico e un infermiere. Sono anche state preparate sei camere per l’isolamento, nel caso in cui dovessero essere trovate persone infettate dal coronavirus, e dall’inizio della crisi sanitaria non sono stati più fatti uscire gli ospiti «più fragili, quelli con problematiche psichiatriche o di dipendenze». Per ridurre il numero di persone ospitate – circa 500 al massimo in condizioni normali – è stata attrezzata per ospitare fino a cento persone una grande tensostruttura della società sportiva comunale Milano Sport.
A Milano il comune ha anche esteso fino al 3 aprile il “piano freddo”, con cui durante l’inverno sono aumentati i posti letto per le persone senza dimora. Sono poi stati allestiti due nuovi centri di accoglienza in città, in via Satta e in via Cenisio, per compensare alla chiusura di alcune strutture ritenute non idonee a garantire la sicurezza degli ospiti. Come racconta un articolo del Corriere della Sera, grazie a una collaborazione con Emergency i centri di accoglienza sono stati attrezzati in modo da garantire il rispetto delle distanze e delle condizioni igieniche ed è stato distribuito del gel igienizzante prodotto dal Politecnico di Milano.
Un approfondito articolo del sito di Internazionale, che racconta la situazione a Roma, spiega altre difficoltà che affliggono le persone senza dimora in questi giorni: ad esempio che «prima qualche trattoria o pizzeria regalava qualcosa a chi vive per strada», ma ora i ristoranti sono chiusi e con la riduzione dei servizi di alcune mense la situazione si è fatta ancora più complicata. Ci sono poi i disagi psicologici legati all’epidemia, gravi soprattutto per le persone senza dimora che hanno problemi psichiatrici: la sospensione delle visite ambulatoriali negli ospedali e di alcune attività nei centri di salute mentale per qualcuno potrebbe essere un problema.
In generale, come spiegato a Repubblica dall’Osservatorio nazionale della solidarietà nelle stazioni italiane (ONDS), un progetto del settore politiche sociali di Ferrovie dello Stato che riunisce chi si occupa delle persone senza dimora nei pressi delle stazioni, sono persone che rischiano di essere poco informate sull’attualità, spaventarsi ulteriormente e diventare più diffidenti a causa delle nuove regole su servizi e spostamenti. Per questo la Croce Rossa Italiana e fio.PSD, la Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora che riunisce più di 125 enti privati e appartenenti alla pubblica amministrazione (e si può sostenere con una donazione su Eppela), hanno realizzato un volantino da distribuire alle persone senza dimora per spiegare in breve e in modo semplice come prevenire la diffusione del coronavirus e cosa fare nel caso ci si senta male.
Per chi non riesce ad accedere alle strutture di accoglienza intanto le città sono diventate meno ospitali. I parchi sono chiusi e ci sono i controlli delle forze dell’ordine. In questi giorni è capitato che persone senza dimora fossero multate, in virtù delle restrizioni sugli spostamenti, perché erano per strada. Lo ha raccontato la settimana scorsa l’associazione Avvocato di strada a Open: «Abbiamo almeno 15 casi tra Roma, Milano, Verona, Siena e Modena. Queste denunce vanno archiviate». In un caso, un uomo con residenza in una via fittizia in provincia di Siena è stato denunciato perché voleva andare a fare un bagno nelle vasche termali libere del Petriolo; in un altro, a Bologna, un uomo è stato denunciato perché a piedi «percorreva la via Indipendenza in direzione della stazione ferroviaria».
E infine c’è un problema che per ora non si è verificato per quanto si sa ma che sarebbe più grave di tutti quelli citati finora: la diffusione del coronavirus. Non è chiaro cosa potrebbe succedere se un ospite di una struttura di accoglienza dovesse risultare infetto: per ora chi si occupa di persone senza dimora in tutta Italia si sta impegnando per evitarlo.
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