Breve viaggio tra le mense solidali in Italia
La situazione attuale, le politiche del Covid ed i punti interrogativi irrisolti
Sono tempi confusi per le realtà che in Italia si occupano da anni di creare luoghi accoglienti, inclusivi per chi vive ed incarna spesso, malvolentieri, la veste di escluso/a: le mense solidali per le persone senza dimora o con dimora precaria.
Infatti, dal 15 settembre non si sa se l’obbligatorietà della Certificazione Verde sarà convalidata o meno per ricevere un pasto caldo. Di fatto, nei primi giorni dell’agosto scorso, la notizia dell’introduzione del green pass sia per le mense di ristoranti che per quelle solidali, ha scosso in molti. In pochi giorni si è dovuto immaginare modi nuovi per assicurare un pasto a chi ne ha bisogno, a chi non può decidere se vuole o meno il green pass, a chi, l’unica scelta, è la strada. Così, nel frattempo, c’è chi ha deciso di far mangiare tutti quanti con cibi d’asporto, per esempio, in segno di protesta e senza dividere ulteriormente le persone in aventi diritto o meno di mangiare [1]. Tuttavia, la bella stagione estiva sta terminando: c’è da chiedersi come e cosa si potrà fare da qui in avanti. Di seguito, un breve viaggio dell’Italia, lungo associazioni che lottano ogni giorno per ridare valore e opportunità di vita agli Altri, senza retoriche buoniste, ma solo attraverso un lavoro continuo e di rete.
Questo articolo è stato possibile grazie alla disponibilità preziosa della Cooperativa Punto d’Incontro della città di Trento, dell’Antoniano di Bologna e della Federazione Italiana degli Organismi per le persone senza Dimora (fio.PSD).
Prima della pandemia
Prima della pandemia di SARS-Cov2, la situazione nazionale in merito al sistema mense solidali era più o meno così:
«Era una grande sala in cui alla mattina si apriva alle nove l’accesso alle persone, con i bagni, dei locali attigui sempre sulla stessa strada le docce e, da mezzogiorno, si cominciava a mangiare con una capienza di una trentina di posti in contemporanea. C’era poi la possibilità per chi lo richiedeva, di percorsi personalizzati, cioè di accompagnamento e di supporto per questioni come la questura, l’azienda sanitaria, la ricerca del lavoro. Si tratta di un lavoro che viene fatto all’interno di una rete di servizi, come il Comune di Trento, la Provincia, la Caritas, il Gruppo Immigrazione e Salute (GRIS) che ormai settimanalmente frequenta da anni i nostri servizi, gli Avvocati per la solidarietà, e tutto un insieme di realtà». (Trento)
«Prima del Covid la mensa funzionava con pasti caldi: la mensa piccola funzionava in maniera più semplice, le mense più grandi avevano magari un sistema di tesserino». (Roma)
Con la pandemia
Come è facile immaginare l’avvento della pandemia mondiale da Covid ha creato uno strappo dal quotidiano conosciuto e l’urgenza di costruire nuove vie per poter assicurare verso tutte/i un servizio essenziale come è quello proprio delle mense.
«Ha visto l’avvicinarsi di tante persone che noi non conoscevamo, per diversi motivi: da una parte perché era sparito il lavoro e, quindi, quelli che avevano un lavoro precario vivevano una situazione di necessità; dall’altra parte perché alcuni servizi che garantivano i pasti erano servizi legati al volontariato, a certe zone o a certe fasce di persone che improvvisamente non sono state più in grado di gestire questo servizio. Per cui noi siamo passati nel primo lockdown da 100/110 persone a 200 persone nel giro di pochissimo tempo, che poi col passare del tempo si è stabilizzato sui 130/150 giornalieri». (Bologna)
«È chiaro che il Covid, da un certo punto di vista, ha ristretto gli spazi e l’accessibilità. Prima ci stavano quaranta persone, ora venti. Se la sala prima veniva aperta sempre, ora è aperta, però alle undici si chiude perché va sanificata e dopo si comincia alle undici e mezza a fare la fila con le persone che entrano (e la mensa rimane aperta fino all’una e mezza). Gli accessi alla mensa a livello giornaliero sono di centotrenta persone, ma l’inverno arrivi anche a duecento». (Trento)
Come ogni settore, come anche le nostre vite personali hanno visto un mutare nel quotidiano, così pure qui, nelle realtà che assicurano ogni giorno un welfare di base a chiunque, gli spazi sono cambiati, ma anche i tempi, le modalità. Di fatto si è fatto e si fa tutto per rimanere in piedi, per rimanere a dare un servizio essenziale. Dopotutto, come dice qualcuno:
«Il servizio bassa soglia come il nostro per molti è la casa, è dove uno che si alza la mattina dal dormitorio o dal sotto il ponte o piuttosto da qualche casa abbandonata e viene qua». (Trento)
Le politiche del Covid: vaccini e green pass
Se prima le persone avevano un luogo dove ritrovarsi, rilassarsi brevemente dai problemi seri della vita, un luogo dove scambiare due parole e forse reinventarsi trovando dignità umana e ascolto, con la pandemia e le nuove politiche, lo sappiamo tutti: lo scambio di parole, di abbracci, di supporto, finiscono o rischiano di modificarsi drasticamente.
«Il servizio è sempre stato aperto. I primi tamponi sono stati fatti a carico della cooperativa, non c’era un sistema di monitoraggio della situazione e anche quando sono arrivati i vaccini, chi lavorava con le persone senza dimora non era fra le categorie che potevano avere delle vie preferenziali». (Trento)
«Ora, il problema s’è posto quando sono iniziati i vaccini perché come vacciniamo le persone senza dimora o le persone irregolari senza documento in Italia? È un diritto loro avere l’assistenza sanitaria, è un diritto della costituzione, non stiamo a parlare di questi diritti che dovrebbero essere ovvi per tutti ma che purtroppo non lo sono. Il problema è legato al documento. Per andare a fare il vaccino serve la tessera sanitaria, per avere la tessera sanitaria serve la residenza e il senza dimora non ha la residenza. Il nodo è questo. Il diritto alla residenza è indiscutibile: è sancito dalla costituzione ed è un diritto di ogni persona. I comuni però per dare la residenza fittizia devono deliberarla. Se non hai deliberata dal comune, l’anagrafe non lo riconosce e non la dà [2]. Senza la residenza poi, non puoi neanche avere il reddito di emergenza o quello di cittadinanza. Per cui si è bloccati. Le persone che vorrebbero ricevere l’aiuto vengono in realtà bloccate dal sistema che non ti dà diritto ad avere un documento». (Roma)
La Federazione Italiana degli Organismi per le persone senza Dimora (fio.SPD), in quanto federazione di oltre centoquaranta realtà socie che si occupano di erogare servizi alle persone, ha da poco sottoposto un questionario alle varie realtà aderenti proprio in merito alla situazione attuale. Ne emerge che:
«Di norma il 95% delle risposte è stato sì, stanno vaccinando. Le uniche due regioni sulle quali non abbiamo certezza che stanno vaccinando sono le Marche e la Val d’Aosta. Le tipologie che vengono somministrate sono tutte. Sul discorso del tracciamento c’è una risposta più articolata, per cui alcune realtà tramite laboratorio seguono, altre dipende se sono italiani o stranieri. È difficile che ci sia un tracciamento efficace, anche per gli italiani. Il discorso del tracciamento secondo me si è perso da mesi».
Cosa chiedono alcune di queste associazioni al governo?
«Sì al percorso di avvicinamento per la vaccinazione; sì a che tutti si possano vaccinare a prescindere dalla posizione regolare o meno dei documenti e sì alla bassa soglia come sistema di protezione dei tamponamenti periodici per chi non si vaccina, però non ogni 2 giorni come col green pass perché non è sostenibile».
Due cose mi hanno sorpreso da questo breve viaggio: da una parte, il fatto che le persone che lavorano e si dedicano nei servizi essenziali come le mense non sono state considerate categorie preferenziali da vaccinare. Volontari e lavoratrici/tori, infatti, si stanno via via vaccinando in base alla loro età, ma non di certo per il lavoro prezioso svolto quotidianamente.
Dall’altra parte, il lavoro di rete continuo svolto sui territori, tra Asl, associazioni e così via. Tutti impegnati nel mantenere alto diritti primari come pasti caldi, luoghi safe e cure mediche. Se non ci fosse questa struttura mobile in Italia, con quale tipo di welfare ci ritroveremmo?
Note
[1] Senza Green Pass, al Punto d’Incontro costretti a mangiare in strada: ’’Non possiamo scegliere chi entra e chi sta fuori. Abbiamo sempre ospitato tutti, per molti siamo l’unica casa’’https://www.ildolomiti.it/cronaca/2021/senza-green-pass-al-punto-dincontro-costretti-a-mangiare-in-strada-non-possiamo-scegliere-chi-entra-e-chi-sta-fuori-abbiamo-sempre-ospitato-tutti-per-molti-siamo-lunica-casa
[2] Interessante su questo tema è la legge promossa dalla Regione Emilia – Romagna che promuove il diritto alle cure mediche a tutt*. Tuttavia, il discrimine residenza rimane. In questa direzione si stanno muovendo un gruppo di associazioni a Torino associazioni relative ai servizi della bassa soglia volti a far riconoscere a livello nazionale il diritto di residenza.