Montagne di solitudini e vicinanza
Report sulla partecipazione al convegno “Sotto lo stesso tetto – 5-7 settembre 2024, Trento”
“Nessuno dovrebbe sperimentare la sensazione di non avere nessuno al mondo”
“All’università mi sento come se non fossi visto e ascoltato”.
“Con due bambini piccoli non ero mai sola, ma mi sentivo disperatamente sola ogni giorno”
“Avevo il terrore di perdere tutti quelli che mi stavano intorno se avessero saputo che ero gay”
“Le giornate sono molto lunghe quando i muri sono gli stessi”
Queste testimonianze sulla solitudine e altri spaccati di vita, situazioni complesse e di sofferenze difficili anche da immaginare, hanno lasciato il segno durante il primo convegno internazionale in Italia sul tema dell’abitare condiviso dal titolo “Sotto lo stesso tetto – la relazione come bene comune”. L’evento ha ospitato anche il 7° Congresso Mondiale di Home Share International una piccola organizzazione che sta promuovendo l’abitare condiviso a livello internazionale.
A Trento, nei tre giorni di lavoro, dal 5 al 7 settembre 2024, è stato possibile esplorare il tema da più punti di vista e da molteplici contesti internazionali.
Le forme di abitare condiviso tra privati sono un tentativo di risposta alle difficoltà che comporta la solitudine e si declinano in diversi modelli che si sviluppano e adattano a contesti e necessità estremamente diversificati: persone anziane, studenti, lavoratrici e lavoratori, persone con difficoltà abitative, etc.
Tra i contributi ha trovato spazio anche una riflessione proposta da fio.PSD, ed elaborata con l’aiuto dei soci che da anni stanno sperimentando la coabitazione di persone senza dimora, sul tema “Housing First e Co-Housing: le opportunità e i limiti di una variante operativa dell’Housing First”.
Giuseppe Dardes, attuale coordinatore HFI – la community italiana dell’Housing First, ha evidenziato la tensione tra la solitudine e la prossimità costretta che persone con esperienza di homelessness possono sperimentare nelle coabitazioni.
Il rischio, se la composizione del gruppo di inquilini è critica, e il lavoro relazionale difficoltoso, è che si passi da Housing First a Room First perché le persone stanno chiuse in camera.
L’idea che “non possiamo far di meglio perché le case costano tanto e poi le persone soffrono meno la solitudine” va messa in discussione. Il valore aggiunto della coabitazione è la partecipazione, i processi di attivazione e il lavoro sull’empowerment. O si recuperano questi principi oppure il coabitare in HF diventa una prossimità costretta (e soffocante).
La sfida per il futuro sarà sempre di più trovare l’equilibrio tra la sostenibilità (riduzione dei costi dati dalla coabitazione) e scelta appropriata della soluzione in base alle caratteristiche e al desiderio delle persone. Occorre lavorare perché vivere insieme, anche per chi vive in disagio, possa diventare una prospettiva desiderabile e non una costrizione.
La coabitazione – intesa non solo come condivisione di spazi comuni, ma soprattutto in quanto opportunità di socializzazione e supporto reciproco –rappresenta un vero e proprio strumento di lettura e di azione verso l’incremento delle risorse dei singoli individui e quelle presenti nei contesti e nelle comunità in cui abitano.
La relazione tra abitare e benessere a diversi livelli è diventata sempre di più un elemento chiave di interesse nello sviluppo di programmi e politiche pubbliche che fanno perno sulla co-residenza in senso stretto, in cui gli individui non appartenenti allo stesso nucleo familiare convivono sotto lo stesso tetto.
Tra i molti spunti e le prospettive di lavoro emerse dal convegno c’è quella dell’evidenza che oggi l’ infrastruttura socio-assistenziale di molti Paesi (compresa l’Italia) vede la presenza di diverse “case” dove vivono insieme persone vulnerabili e non. La coabitazione rappresenta quindi una dimensione potenzialmente importante delle politiche sociali e delle politiche abitative ad alto contenuto sociale. Riguarda un’ampia pluralità di gruppi, sia nell’area del disagio, sin in quella dell’agio anche se i numeri, per ora, sono bassi.
Far condividere spazi domestici permette di ridurre i costi dell’intervento sociale, di organizzare meglio il lavoro di operatori e di rendere i servizi sostenibili dal punto di vista economico, ma anche in tanti casi, di attuare percorsi terapeutici e/o educativi che fanno della condivisione -di esperienze, di modi di fare e di essere, di affrontare i problemi- un punto di forza.
Diventa sempre più evidente che vivere in una casa, come ci sta insegnando Housing First, permette di «normalizzare la vita» e farlo insieme ad altri pone una serie di questioni che attengono al benessere delle persone e delle comunità di riferimento.
Tra racconti, ricordi e citazioni, che hanno arricchito gli scambi nel convegno, una sintesi felice la si trova in Maurizio De Giovanni che scrive: “È facile stare insieme quando va tutto bene. Il difficile è quando si devono superare le montagne, fa freddo e tira vento. Allora, forse, per trovare calore, uno si deve fare un poco più vicino.”