Prima la casa

Di Giuseppe Dardes,  coordinatore di HFI la Community Italiana dell’Housing First (fio.PSD)

 

Nell’approccio Housing First, letteralmente prima la casa, c’è un’enfasi sorprendente sulla casa, con l’indicazione di un primato che stride quando c’è di mezzo la sofferenza di uomini e donne. Viene naturale pensare: prima le persone poi il resto. Qual è la ragione di questo rovesciamento? Di questa priorità inconsueta?

Nei sistemi tradizionali di presa in carico e riabilitazione delle persone senza dimora si lavora con un assunto implicito: la persona in condizioni di grave emarginazione ha perso le capacità di vivere in una casa e utilizzare il ventaglio di servizi che chi è incluso da per scontato (anagrafe, servizi sanitari, mobilità, cultura, etc.).

Con una rappresentazione assai discutibile del sistema sociale la persona senza dimora  è vista come chi cade dalle scale e non è più in grado di risalire e riprendere il suo posto.

Spesso “la caduta” è letta come un’emergenza, e non come il frutto di un sistema sociale che produce sempre più esclusione, e il rimedio è il cosiddetto “approccio a gradini”: per risalire la scala devi dimostrare impegno, rispondere alle richieste dei servizi per adeguarti al loro percorso e quindi, in sintesi, conquistare col merito il ritorno all’autonomia.

Sam Tsemberis, psicologo clinico e di comunità, a New York negli anni Novanta, si accorge che questo modello non produce i risultati sperati per la maggior parte delle persone. Si mette in ascolto dei molti pazienti homeless psichiatrici, che intercettava fuori dall’ospedale in cui lavorava, e con l’aiuto di un’equipe di operatori sociali e specialisti inizia ad elaborare soluzioni diverse. Sono dunque le stesse persone senza dimora ad indicare la casa come possibile perno di un diverso percorso di recovery, quel processo irripetibile che fa sperimentare ad ogni persona che “il peggio è passato”. Che si può trovare un  modo di vivere in cui si riguadagnano fiducia in sé e aspettative  positive, in cui riorganizzare il  senso di sé con lo sviluppo di autostima, efficacia personale ed una ritrovata bussola interiore.

Come funziona l’Housing First?  Le persone senza dimora vengono inserite direttamente in appartamenti e viene predisposto per loro un supporto personalizzato da un team di operatori che la aiuta a gestire la vita quotidiana, a risolvere eventuali problemi burocratici e ad accedere ai servizi di cui ha bisogno (assistenza sanitaria, supporto psicologico, ecc.). L’accesso all’alloggio non è condizionato al rispetto di regole, come quelle sul divieto di assumere alcolici che lascia molte persone fuori dai dormitori, o alla partecipazione a programmi di trattamento: la casa viene vista come diritto umano fondamentale. La finalità dell’approccio è permettere alle persone di riprendere il controllo sulla propria vita e favorire la loro piena integrazione sociale.

Numerosi studi hanno dimostrato che l’Housing First è efficace nel ridurre la cronicizzazione della condizione di senza tetto e nel favorire il reinserimento sociale.

Le persone che partecipano a programmi Housing First mostrano un miglioramento significativo della loro salute fisica e mentale. A lungo termine questo tipo di intervento sociale si rivela un investimento economicamente sostenibile, in quanto riduce i costi legati alla gestione delle emergenze e ai servizi sanitari.

Per gli operatori questo approccio sta promuovendo un cambiamento radicale nel modo di aiutare le persone gravemente emarginate che sintetizzano così: “Finalmente un approccio che permette di centrarci sulle persone. Non è la persona che cerca di adattarsi a un servizio, ma è il servizio che fa lo sforzo di adattare le proprie prestazioni alla persona”.

Nel rispondere alla domanda iniziale, sul senso di porre “prima la casa” nel lavoro di aiuto alle persone senza dimora, si trova un interessante spunto nella Sacra Scrittura.

La prima lettera di Genesi è Beth e il primo versetto evoca: “Bereshit Barà Elokim…” tradotto con “In principio Dio creò il cielo e la terra.” Sorprendentemente beth è anche l’iniziale di bait, casa, e la lettera ha la forma stessa della casa: pavimento, mura, tetto e soglia.

In principio, prima, c’è quindi la casa come fondamento, base sicura, dal quale l’uomo può partire, o ripartire, per diventare pienamente umano, sperimentando protezione, appartenenza, sicurezza, apertura al futuro. In una parola ritrovare ciò che la vita in strada calpesta e nega: la dignità.

 

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