Donne senza dimora: tra stigma e invisibilità
Di Lucia Fiorillo, Osservatorio fio.PSD
Generalmente il discorso pubblico sulla grave marginalità adulta si concentra sull’esperienza maschile del fenomeno. Ciò è principalmente dovuto al fatto che tutte le rilevazioni statistiche condotte a livello internazionale indicano la prevalenza di uomini tra la popolazione senza dimora. Ad esempio in Italia, l’ultima rilevazione Istat sulla popolazione senza dimora del 2014 indicava che le donne rappresentano il 14,3% delle 50.724 persone censite.
Tuttavia dietro le statistiche si celano vite e storie che meritano di essere riconosciute e affrontate nella loro complessità. Perché se è vero che povertà, esclusione sociale e abitativa sono le principali determinanti della condizione di grave marginalità condivise da tutta la popolazione senza dimora, è anche vero che le donne non vivono tale condizione allo stesso modo degli uomini. Spesso i fattori scatenanti la perdita della casa e delle relazioni primarie sono diversi da quelli sperimentati dagli uomini, in primis la violenza domestica, così come lo sono le conseguenze e le traiettorie di vita, che seguono percorsi non lineari e costellatati da eventi traumatici come l’allontanamento e la perdita dei figli. Se a ciò a aggiungiamo la vergogna, la discriminazione e lo stigma per non corrispondere alle aspettative sociali che le nostre società attribuiscono alle donne, ecco che appare evidente che l’esperienza della grave emarginazione femminile assume tratti unici e peculiari.
Anche i modi di reazioni alla homelessness sono in parte diversi quando si parla di donne senza dimora. È ormai infatti generalmente riconosciuto che le donne, una volta che si trovano in condizioni di esclusione abitativa, tendono a rivolgersi in prima istanza alle sistemazioni informali, come l’accoglienza presso amici, familiari e conoscenti, e solo dopo aver esaurito tali opzioni si dirigono presso i servizi tradizionali dedicati alle persone senza dimora. Questa specifica circostanza viene definita come “homelessness nascosta”, termine che ben descrive lo stato di invisibilità in cui spesso versano le donne senza dimora.
Quando non è possibile contare su questo tipo di accoglienze informali, in ragione della mancanza di una rete relazionale o dell’esistenza di grave problematiche individuali, l’unica alternativa alla strada è l’accesso presso il sistema dei servizi. Un sistema che però non è sempre in grado di rispondere alle specifiche esigenze di donne spesso traumatizzate e portatrici di bisogni sociali complessi. E così le donne non sfuggono a una vita fatta di precarietà, solitudine e circostanze estremamente stressanti che possono generare impatti devastanti sulla salute mentale. Perdita d’identità, ansia, depressione e tentativi suicidari sono spesso riscontrati nelle donne senza dimora, così come lo sono i rischi di sviluppare dipendenze da alcool e droghe come strumento per resistere alle difficoltà della vita da homeless. Altre donne ancora possono ricorre alla prostituzione o all’utilizzo strumentale del sesso (survival sex) per evitare di dormire in strada così come per garantirsi sostegno materiale, protezione fisica e sicurezza emotiva.
Al di là delle statistiche, parlare di grave marginalità adulta significa interrogarsi su un fenomeno tanto complesso quanto sfaccettato, in cui la dimensione di genere rappresenta una realtà dalla quale non si può prescindere.
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