Oltre il bisogno di cibo
Ripensiamo il modello delle mense sociali?
Partendo da una sollecitazione arrivata da alcuni soci che denunciavano cambiamenti negli accessi alle proprie mense sociali, fio.PSD ha promosso una breve indagine rivolta alle organizzazioni della rete che gestiscono servizi di mensa per approfondire le ragioni di eventuali cambiamenti, raccogliere informazioni sulle soluzioni adottate e conoscere meglio il profilo di coloro che, nell’ultimo anno, si sono rivolti ai servizi di risposta ai bisogni primari
All’indagine hanno risposto 21 enti che gestiscono mense sociali di medie e grandi dimensioni nelle città di Milano, Lodi, Aosta, Genova, Firenze, Trieste, Padova, Bologna, Mantova, Torino, Cuneo, Ascoli Piceno, Roma, Napoli, Bari, Palermo, Ragusa. Si tratta di organizzazioni (9) che accolgono in media annualmente tra le 300-500 persone come l’Associazione Agape onlus e Caritas Lodigiana, tra le 700 e le 2000 persone (7) come l’Opera delle Cucine Economiche Popolari e l’Istituto Opera Don Calabria e, tra quelle più piccole (5), il numero dei beneficiari di organizzazioni come la cooperativa sociale La Panormitana e Caritas Ragusa si aggira attorno alle 60-200 persone all’anno
Nuove persone, con nuovi profili, si rivolgono alle mense
Oltre la metà delle organizzazioni intervistate (57%) dichiara di aver rilevato nell’ultimo anno un aumento nel numero di persone che si rivolgono alle mense, le restanti si dividono tra chi rileva una diminuzione degli accessi e chi non rileva alcun cambiamento
Pandemia, crisi economica e disagio lavorativo sono i tre fattori ricorrenti che secondo i soci hanno determinato l’aumento delle persone che si rivolgono alle mense. A questi elementi si aggiunge la crisi bellica ucraina e i flussi migratori che hanno determinato una maggiore presenza di profughi e richiedenti asilo
In generale, la percezione diffusa tra coloro che gestiscono le mense è che, nell’ultimo anno, a seguito della crisi economica, dell’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime, della maggiore precarizzazione del lavoro, vi sia stato un impoverimento della popolazione che ha determinato un maggiore afflusso di persone che si rivolgono alle mense sociali e ai servizi di distribuzione materiale e alimentare
Emergono inoltre nuovi profili di vulnerabilità fra coloro che si rivolgono per la prima volta a questo tipo di servizi: persone con lavori precari e stagionali, disoccupati di medio-periodo, famiglie con minori, persone con cittadinanza italiana in condizione di povertà abitativa o che hanno perso la casa dopo lo sblocco degli sfratti. L’impoverimento e la conseguente maggiore richiesta di sostegno alimentare appaiono trasversali in termini di età, in quanto si registra sia un abbassamento dell’età media delle persone che si rivolgono alla mensa, sia un maggior numero di anziani nell’ultimo anno. Infine, la Cooperativa Sociale C.A.P.S. di Bari ha rilevato un “inatteso” avvicendamento di persone provenienti dalla stessa comunità, con una riduzione del numero di donne georgiane e un forte aumento del numero di uomini georgiani precedentemente quasi del tutto assenti del servizio
Laddove l’incremento di utenti è stato più elevato, le mense hanno adeguato la propria organizzazione logistica (aumento di fornitura dei pasti e preparazione di pasti da asporto, fornitura di kit alimentari tramite fondi FEAD, turnazioni del personale) e, in alcuni casi, come per Caritas Diocesana di Torino e Associazione Agape Onlus di Mantova, è stata avviato un dialogo e un raccordo con altre mense e servizi del territorio
Un elemento che ci sembra significativo portare all’attenzione è la testimonianza di alcune mense, in particolare dalla Fondazione Solidarietà Caritas Firenze, che hanno rilevato un cambiamento nel tipo di richiesta che arriva alle mense. Non si tratta come è facile immaginare solo di un bisogno di cibo ma vi è stato un forte incremento nella domanda di altre forme di sostegno come tessere prepagate, pacchi alimentari e supporti di assistenza materiale FEAD
Infine l’Istituto Opera Don Calabria di Roma fa notare che l’anno in cui si sono registrati importanti cambiamenti nel numero degli accessi alla mensa non sia stato il 2021 ma il 2020, in concomitanza del primo lockdown, in cui sono aumentati “in maniera esponenziale” giovani e persone immigrate
Le “buone” ragioni dietro la diminuzione negli accessi alle mense in alcuni territori
A fronte di questo scenario dominante, appare utile approfondire le ragioni del calo di accessi alle mense rilevato da alcune organizzazioni. Da una parte vi sono ragioni di carattere organizzativo legate al contesto pandemico (riduzione degli spostamenti, restrizioni nelle modalità di accesso e sospensione temporanea del servizio, passaggio da un servizio di self-service a un servizio di asporto), dall’altra il calo è associato a una nuova strutturazione dei servizi territoriali
Ad es. Caritas Lodigiana dichiara che grazie al cambiamento delle modalità di accesso e presa in carico dei servizi per la grave marginalità, maggiormente integrate con il territorio, vi è stata una riduzione delle presenze occasionali e di passaggio: “Ora le persone cercano e trovano una maggiore stabilizzazione, resa possibile dal maggiore impegno del territorio a lavorare sulla residenza fittizia, sulla ricerca di lavoro, sulla cura di devianze legate a dipendenza o a problemi sanitari(…) Esiste una presa in carico maggiore con impegni reciproci che durano nel tempo, con la sottoscrizione di un vero e proprio patto”
Fondazione Diocesana Caritas Trieste spiega invece che nel 2021 è terminata l’esperienza del progetto Emergenza freddo, che offriva esclusivamente accoglienza notturna, ed è stato creato un sistema di accoglienza stabile aperto h24, in cui sono garantiti tutti i pasti. Inoltre per i cittadini stranieri provenienti dalla rotta balcanica sono state istituite strutture di isolamento fiduciario a loro dedicate, che spiega il drastico cale di presenza straniere presso la mensa (da 1336 nel 2020 a 730 nel 2021)
Anche Fondazione Nervo Pasini – Cucine Economiche Popolari di Padova, indica da una parte che la mancanza di lavoro legata alla pandemia ha spinto molte persone a ritornare nel loro Paese d’origine, dall’altra che “sono stati introdotti alcuni ammortizzatori sociali o di sostegno che hanno permesso ad alcune persone di essere un po’ più autonome e di usufruire di opportunità differenti (…) con la pandemia si è moltiplicata l’attenzione e l’offerta nei confronti dei senza dimora e sono sorte nuove iniziative a sostegno dei più fragili”. Infine un discreto numero di ospiti della mensa padovana ha ottenuto l’assegnazione di case popolari
Considerazioni conclusive
La consultazione ai soci ci permette di osservare come, anche rispetto ad un bacino di utenza circoscritto, si possano raccogliere interessanti riflessioni circa i cambiamenti che avvengono nel circuito della grave marginalità adulta. Nelle mense sociali e nei servizi di distribuzione di alcune delle più grandi città italiane, aumentano le persone senza dimora, le persone con difficoltà economiche e lavoro precario, e le persone che negli ultimi anni si sono impoverite. Ci sono persone che si rivolgono ai servizi “da sempre” e ci sono persone che si rivolgono ad essi per la prima volta. Ci sono persone che “siedono a mensa” e ci sono persone che ritirano i pacchi per consumare il cibo nel luogo dove vivono. Ci sono persone che hanno recentemente perso lavoro e casa e che si rivolgono ai servizi per rispondere ai bisogni primari
A fronte di questo aumento e di questa richiesta sempre più differenziata, occorre agire affinché questi luoghi non assolvano una mera funzione assistenzialista ma il servizio di tipo alimentare venga sempre accompagnato da forme di presa in carico, anche leggera, delle persone coinvolte, garantendo un presidio di ascolto e orientamento verso i servizi della rete locali. Come ricordato nelle Linee di indirizzo per il contrasto alla grave emarginazione adulta l’interconnessione con il sistema dei servizi è centrale anche per promuovere una più attenta analisi dei bisogni e valorizzare le diverse forme di supporto e risposta al bisogno alimentare già disponibili sul territorio, per evitare sovrapposizioni o ottimizzare l’allocazione delle risorse. Il coinvolgimento della comunità nella gestione del servizio rappresenta inoltre una importante opportunità sia per valorizzare la cultura della solidarietà, con l’apporto fondamentale del volontariato, ma anche per promuovere forme di collaborazione con i produttori locali di materie prime locali, per innescare meccanismi di economia circolare. Infine, ma non meno importante, bisognerebbe prestare attenzione alla strutturazione degli spazi fisici in cui il servizio viene offerto. Poter consumare un pasto caldo in ambienti esteticamente gradevoli che non rimandino a una visione stigmatizzante dello stato di bisogno, può avere un impatto importante sulla percezione di sé
La valenza di queste raccomandazioni è in buona misura confermata dalle informazioni emerse dalla nostra indagine. Alcune esperienze dimostrano infatti che laddove l’organizzazione dei servizi territoriali si rende più integrata e si privilegia una visione di lungo periodo anziché una risposta incentrata sulle emergenze, i risultati si manifestano anche attraverso una diminuzione degli utenti delle mense. Ripensare il modello organizzativo delle mense è dunque possibile e va favorito attraverso il contributo congiunto di tutti gli attori del territorio