Senza dimora: nuovi profili di bisogno e vecchi diritti
Teresa Consoli | 30 giugno 2023
Il tema dell’homelessness nella sua declinazione come diritto (negato) alla casa o, più precisamente, all’abitare, non rientra tra i diritti sociali nel nostro sistema di welfare, a differenza di altri modelli di stato sociale in cui l’housing è inserito a pieno titolo tra le politiche e i diritti sociali. Negli ultimi 20 anni, anche in ragione della crescente visibilità di persone senza dimora per le strade di molte città italiane, si rileva una maggiore attenzione al tema dell’homelessness, ma lo scenario dentro cui il “senza dimora” trova legittimazione, specificità di lettura, attivazione e possibilità di intervento da parte delle amministrazioni è certamente vincolato da questo scenario complessivo, dall’assenza cioè di efficaci politiche abitative. O meglio, come evidenziato più avanti, dalla trasformazione in termini prevalentemente patrimoniali dell’accesso alla casa e del diritto all’abitare.
È utile specificare che la scelta dell’uso “senza dimora” rispetto al termine “senza casa” vuole sollecitare l’attenzione verso la consapevolezza che riferendoci alla “dimora” non parliamo solo della casa intesa come “bene”, ma come una serie di condizioni alle quali una persona vive la sua intimità, nutre le sue relazioni, si sente protetto, trova dimora. Ovviamente però il tema del senza dimora e del senza casa sono tra loro strettamente connessi.
Negli anni il diritto alla casa è cambiato moltissimo. Se facciamo riferimento alla storia del diritto alla casa negli anni ‘60-‘70 il quadro storico era legato alle profonde trasformazioni sociali e alle grandi rivendicazioni politiche e collettive. Questo tema è stato progressivamente derubricato sia dal punto di vista delle responsabilità, attribuite a enti regionali e poi locali, sia dal punto di vista della rappresentazione di un interesse collettivo. Il diritto alla casa è, infatti, enumerato come diritto soggettivo, riflette il rapporto tra cittadino e Stato e trova il suo profondo fondamento nella territorialità. Questo legame tra Stato e cittadino trova la sua manifestazione più compiuta nel riconoscimento della “residenza” su un determinato territorio e nel conseguente accesso a una serie di ulteriori diritti (es. il diritto al gratuito patrocinio, all’assistenza sanitaria, al lavoro, all’assistenza sociale, ai documenti di identità, all’iscrizione alla circoscrizione elettorale e quindi alla possibilità del voto).
Il tema di chi si trova senza residenza riguarda ovviamente una platea molto più ampia rispetto a quella abitualmente indicata come “senza dimora” e indica una situazione di limbo in cui vengono a trovarsi molti cittadini presenti su un medesimo territorio per ragioni più disparate (separazioni, perdita di lavoro, impossibilità a mantenere la casa…). Il sistema di welfare e l’accesso alle prestazioni è garantito però solo ai residenti. Alcune soluzioni sono state elaborate dai Comuni attraverso il riconoscimento della residenza fittizia, in particolare per accedere ai servizi sanitari, e tuttavia non è un automatismo, prevede procedure molto diverse e non è garantita in maniera uniforme su tutto il territorio.
Un ulteriore tema è quello legato all’accesso alla casa. Nel corso degli anni il tema del diritto alla casa è diventato sempre più il tema del possesso della casa, legato quindi alla proprietà del bene. Su questo aspetto è opportuna una riflessione non solo perché il patrimonio abitativo pubblico è limitato (pari circa al 4% del totale) e (mal)ridotto, ma anche perché questa interpretazione dell’accesso alla casa ha determinato una serie di squilibri. Nella gestione del welfare e nella rappresentazione degli interessi collettivi, l’accesso alla casa ha visto progressivamente aumentare le tutele per chi compra la casa. Negli ultimi 20 anni il 70% delle famiglie italiane sono diventate proprietarie di abitazione, e siamo quindi un Paese di proprietari, ma abbiamo relegato il problema abitativo alla contrattazione tra affittuari e proprietari sottraendolo alla riflessione collettiva. In questo scenario la popolazione più povera ricade ovviamente nel 30% in affitto amplificando i processi espulsivi dal territorio a cui abbiamo fatto cenno. Inoltre, il disagio abitativo nelle case (anche di proprietà) è altissimo, per questioni di manutenzione e sovraffollamento. La questione dell’housing sta acquisendo, anche in Europa, sempre maggiore importanza perché il controllo del territorio e la proprietà delle case sta diventando il terreno del conflitto. Il processo di privatizzazione delle abitazioni e la sottrazione del tema dell’housing alla riflessione pubblica ha determinato una crescita esponenziale degli affitti, ha alimentato dinamiche di gentrificazione e di progressiva espulsione dalle città della popolazione che le abitava.
Questo è quindi lo scenario dentro cui si rivela la persona “senza dimora”, l’homeless che vive per strada e rappresenta il disagio più grave e manifesto. Ma complessivamente questa popolazione costituisce solo la punta dell’iceberg, il 10% di chi vive in una condizione di disagio abitativo per come abbiamo cercato di descriverlo.
Con la Dichiarazione di Lisbona del 2021 gli Stati membri riconoscono che c’è stato un aumento esponenziale dell’homelessness e che “le complesse cause del fenomeno dei senzatetto comprendono l’aumento dei costi degli alloggi, l’insufficiente offerta di alloggi sociali o di assistenza abitativa, il basso reddito e la precarietà del lavoro, la perdita del posto di lavoro, l’invecchiamento e la disgregazione della famiglia, la discriminazione, i problemi di salute a lungo termine e l’insufficiente preparazione all’uscita da strutture istituzionali”. Tali processi nel nostro Paese hanno già determinato un gravissimo disagio.
Dati e rappresentazioni
Negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione ai dati e alle rilevazioni sul fenomeno dell’homelessness. Cresce il numero di rilevazioni ad hoc, realizzate sui territori e frutto di osservazioni puntuali e dettagliate, rese possibili soprattutto tramite la mediazione degli operatori e dei servizi che operano su quei contesti. È però il caso di segnalare che tali rilevazioni alimentano una circolarità tra il modo in cui i servizi per l’homelessness lavorano e il modo in cui viene rappresentato il fenomeno. Si rilevano, a tal proposito, alcune cecità metodologiche, relative ad esempio alla sottovalutazione del disagio abitativo per alcune specifiche fasce della popolazione più “nascoste” come le donne, i giovani e gli stranieri.
A livello internazionale viene utilizzata la classificazione ETHOS che elenca 6 categorie a cui si fa riferimento nella conta dei senza dimora, ma spesso le statistiche si fermano alle prime 3 e cioè alle persone che dormono in strada, a chi è ospite presso strutture emergenziali o presso dormitori specificamente destinati ai senza dimora.
OPERATIONAL CATEGORY | LIVING SITUATION | DEFINITION | ||
---|---|---|---|---|
1 | People living rough | 1 | Public spaces / external spaces | Living in the streets or public spaces without a shelter that can be defined as living quarters |
2 | People in emergency accommodation | 2 | Overnight shelters | People with no place of usual residence who move frequently between various types of accommodation |
3 | People living in accommodation for the homeless | 3 | Homeless hostels | Where the period of stay is time-limited and no long-term housing is provided |
4 | Temporary accommodation | |||
5 | Transitional supported accommodation | |||
6 | Women’s shelters or refuge accommodation | |||
4 | People living in institutions | 7 | Health care institutions | Stay longer than needed due to lack of housing |
8 | Penal institutions | No housing available prior to release | ||
5 | People living in non-conventional dwellings due to lack of housing | 9 | Mobile homes | Where the accommodation is used due to a lack of housing and is not the person’s usual place of residence |
10 | Non-conventional buildings | |||
11 | Temporary structures | |||
6 | Homeless people living temporarily in conventional housing with family and friends (due to lack of housing) | 12 | Conventional housing, but not the person’s usual place of residence | Where the accommodation is used due to a lack of housing and is not the person’s usual place of residence |
Dal punto di vista metodologico, la presenza di homelessness si rileva empiricamente mediante due metodi: quello del point in time e quello dei registri anagrafici comunali. Il metodo point in time (Istat, Ministero Lavoro e Politiche Sociali, fio.PSD, Caritas) rileva, in un certo momento più o meno lungo e in alcuni territori, il numero di persone che si trovano presso i servizi per senza dimora (47.648 nel 2011 e 50.724 nel 2014 in 158 Comuni).
Dal 2018 Istat ha avviato il Censimento permanente della popolazione e delle abitazioni in sostituzione del Censimento della popolazione decennale. Nel 2021 ai dati censuari si sono aggiunte le informazioni desunte ah hoc presso le anagrafi comunali su 3 specifici segmenti di popolazione definite “difficili da raggiungere” (351.000 le persone che vivono nelle convivenze anagrafiche, 16.000 che dimorano in campi autorizzati o insediamenti tollerati e spontanei, 96.000 le persone senza tetto e senza fissa dimora). Le persone senza fissa dimora definite da Istat sono coloro che hanno stabilito nel Comune il proprio domicilio (articolo 2, comma 3 della Legge 24 dicembre 1954, n. 1228) e persone senzatetto che non hanno alcun domicilio, iscritte in anagrafe presso un indirizzo fittizio o presso un indirizzo reale facente capo ad un’associazione o comunque utilizzato dal Comune per l’iscrizione in anagrafe delle persone senza tetto e senza fissa dimora.
Con tale definizione emerge come fondamentale il ruolo di advocacy svolto dalle associazioni sui territori, che hanno consentito l’iscrizione in anagrafe alle persone senza dimora. Tra le persone senza tetto e senza fissa dimora iscritte nelle anagrafi comunali quasi il 38% è di nazionalità straniera e prevale la componente maschile con un’età media di 41 anni (45 per gli italiani/35 per gli stranieri). Delle oltre 96 mila persone senza tetto e senza fissa dimora registrate dall’Istat, oltre il 50% risulta iscritto in sei Comuni italiani (Roma, Milano, Napoli, Torino, Genova, Foggia).
È evidente come le due rilevazioni tengano in considerazione due popolazioni diverse, che solo in alcuni casi si sovrappongono. Il metodo point in time consente di capire chi utilizza i servizi in un dato momento, i registri anagrafici consentono invece di sapere chi è registrato come senza dimora nelle anagrafi comunali. In entrambi i metodi si evidenziano alcuni limiti.
La rilevazione realizzata da Istat attraverso le anagrafi rileva solo chi è registrato, sottovalutando il ruolo di advocacy svolto dalle associazioni sui territori e non tenendo conto della classificazione ETHOS. Consente senza dubbio una rilevazione sistematica del dato, ma non considera la già menzionata “hidden homelessness” (donne, giovani, stranieri) e la specifica “mobilità” di questa popolazione.
La rilevazione point in time, d’altra parte, descrive soltanto chi è già presente nei servizi e ha già manifestato la propria condizione, mentre una larga fetta di senza dimora non arriva ai servizi. Vi è quindi necessità di mettere in campo rilevazioni comparabili e sistematiche, con cadenze temporali specifiche, che tengano insieme sia le rilevazioni anagrafiche sia quelle sul territorio, al fine di rendere l’homelessness oggetto di riflessione pubblica.
In conclusione… riflessioni a dimora
La prima riflessione riguarda la necessità di mutare la prospettiva nelle analisi sui fenomeni sociali che vorrei sinteticamente esprimere come urgenza del passaggio “dalle teste ai territori”. Esiste una fortissima aspettativa in materia di valutazione dei progetti e dei servizi relativamente al raggiungimento dei target, alla necessità di esporre i numeri, di contare le teste delle persone che partecipano a queste attività. I numeri sono necessari, ma è fondamentale tematizzare che stiamo riferendoci anche a profonde trasformazioni dei territori su cui i progetti, i servizi e gli interventi vengono attuati. Come possiamo mettere a tema queste trasformazioni, esplicitarle e renderle oggetto di analisi e di riflessione pubblica?
La seconda riflessione riguarda la “dimora dei diritti sociali”. Si è cercato di evidenziare il legame tra Stato e territorio, elemento fondante del moderno welfare ed espresso attraverso i diritti di cittadinanza, ancorati alla residenza sui territori. È necessario che ci sia una riflessione su queste connessioni, che la cittadinanza venga re-interpretata come possibilità di vivere dignitosamente, di trovare dimora sui territori. Il legame tra cittadinanza e territorialità va tematizzato e collegato con la possibilità dell’esercizio del potere, con le decisioni pubbliche che legittimano quell’esercizio e che danno senso alla sovranità. Quale sovranità possiamo oggi esprimere? Come può essere ri-legittimato l’accesso ai diritti sociali?
Per concludere, una riflessione su vecchi bisogni e nuovi diritti. Negli anni si registra una maggiore consapevolezza ed emersione del fenomeno, ma ancora l’homelessness è considerata una “private issue”, specifica di alcune categorie (malati di mente, tossicodipendenti), un problema di chi è senza dimora e non una questione pubblica, dei territori che ospitano le persone senza dimora. In questa mancanza di riflessione pubblica, l’homelessness diventa un problema di decoro delle città e viene caratterizzata da una insufficiente consapevolezza del disagio e della malattia mentale che affligge molte persone in strada. Si deve passare quindi dal diritto sull’abitazione al diritto all’abitare, tenendo insieme le politiche sociali, abitative e sanitarie.
La Piattaforma europea per combattere la homelessness dichiara per il 2030 l’obiettivo di ending homelessness, obiettivo ambizioso che ci costringe a ragionare sul tema con una scadenza. Non possiamo più sfuggire dall’implementare politiche che abbiano logiche di tipo preventivo e non solo emergenziale. L’housing led strategy è una tra le possibilità migliori che oggi abbiamo per affrontare in modo integrato e sistemico il problema del disagio abitativo, di cui l’homelessness è solo la manifestazione più dolorosa.